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LA PELLE DEL PORFIDO

FRANCESCO RAMPIN

EDITORIALE GIORGIO MONDADORI

 

 

 

 

 

 

 

DETTAGLI

Autore | FRANCESCO RAMPIN

Curatore | ARCH. MATTEO RAMPIN

Editore | EDITORIALE GIORGIO MONDADORI

Anno Edizione | 2022

In commercio dal 19 Novembre 2022

Pagine | 244 p., ill. , Rilegato

ISBN | 9788837419707

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FRANCESCO RAMPIN | L'EMPATIA DELLE COSE : LA PELLE DELL'ARTE.

 

 

Quello che c’è di più profondo nell’essere umano è la pelle.

(Paul Valéry)

 

L'arte è una serie ciclica e mai paga di sensazioni, un insieme di emozioni che possono sgorgare direttamente dalle opere e dai lavori proposti da un artista, visioni di sogni che prendono lentamente forma e si espongono alla vista dello spettatore che in esse si perde, si riconosce o semplicemente le trova conformi al suo sentire.

Spesso si dice che l'affinità è solo una questione "di pelle", uno scambio simbiotico emozionale che mette in contatto l'uomo con ciò che più trova somigliante e attinente con le sue percezioni.

La pelle, la pelle che cambia, muta e si rigenera è l'elemento di confine con l'esterno e che prima di tutti gli altri sensi mette in contatto l'uomo con la vita, con lo spazio circostante fin dalla nascita perché, prima di vedere e udire, l'essere umano percepisce, attraverso il tatto, ciò che lo circonda.

L'artista quando crea ha un contatto fisico con i suoi lavori: uno studio è pregno di odori di vernici, di colori, di solventi, di strumenti, di legno, di ferro e di sogni, è un insieme di strane cose che diventano poi elementi e sensuali visioni nelle quali ritrovarsi e perdersi.

Un artista abbisogna della fisicità, necessita che la sua pelle sia in relazione con la pelle dei materiali, stabilisce in tal modo un contatto con la forma che è plasmata e forgiata da chi fatica ad estrapolarla, anche se fosse recuperata da un semplice pezzo di legno riciclato, da un ferro arrugginito e abbandonato, è una creatività e fantasia che riesce a vedere oltre la struttura, oltre la pelle, l'artista compenetra quello che è solo visione o solo tatto, sa guardare, non solo vedere.

Perché una scultura, una pittura, un ensemble di materie si associ e diventino poi opere d'arte è fondamentale entrare nell'anima delle cose e, soprattutto, nell'interiorità di chi le sagoma: la pelle dell'artista diventa tutt'uno con la pelle della materia e poco importa che il freddo, il calore, la ruvidezza, la levigatezza provengano da una delle sole parti, è in realtà uno scambio continuo, è una carezza costante tra uomo e materia.

Con Francesco Rampin non si parla di scultura o di pittura, lo stesso artista non si può definire semplicemente scultore o pittore, l'arte nel modo classico così come è recepita nel mondo contemporaneo non ha una formulazione, non può essere etichettata, spesso la sua pittura si fa materia e la scultura si fa leggera, con una gamma coloristica tratta direttamente da una tavolozza di colori che si perde tra il surreale e il metafisico, il modus operandi del pittore e dello scultore si smarrisce e fonde in un unicum e si parla di cose create, di Arte.

La capacità di Francesco Rampin è legata alla forma e al colore che si dotano di significati, di simbologie iconiche già presenti nei titoli delle sue composizioni che recuperano miti antichi, letture, religioni, riti sciamanici e rinascono sotto formule sacrali e preziose diventando ostensori, vele e navi, tocchi di magia, legami tra sacro e profano dove è l'uomo causa ed effetto in un mondo fatto di ricordi, storia e visioni di un futuro che pulsa di vita da vedere e da toccare.

I rimandi storici alla materia nel corso del Novecento son ben ponderati da Francesco Rampin e il ricordo si propaga con l'accostamento degli objet trouvé e i ready-made di Marcel Duchamp, le opere di Picasso fatte con la percezione della gioia del fare, con  le linee di Costantin Brancusi e, in una sorta di conciliazione col passato, con la lavorazione proposta nelle opere dell'Arte Povera, del Nouveau Réalisme e di tutti quegli artisti che hanno fatto dell’objet trouvé un objet artistique. [1]

Francesco Rampin, come altri artisti contemporanei, trasforma a volte, attraverso un processo di recupero, gli oggetti rifiutati dalla società per ricollocarli e variali in opere d'arte: dallo scarto alla rinascita attraverso una rigenerazione empatica, un contatto, appunto, a pelle.[2]

Diceva Costantin Brancusi, cui per alcuni aspetti fatti per compostezza e levigatezza Francesco Rampin sembra trarre insegnamento: "La semplicità non è un fine dell’arte ma si arriva alla semplicità malgrado se stessi avvicinandosi al senso reale delle cose. La semplicità è la complessità stessa – ti devi nutrire della sua essenza per comprenderne il valore".[3]

Le cose che si creano sono enigmatiche e misteriose, vibrano con i tocchi di colore sapientemente condotti dalla mano dell'artista e le prove pittoriche assumono variegati aspetti: delicate forme fluttuanti in un magma di pigmenti intervallate da guizzi di luce, squarciate carcasse di pastosa formale materia riconducibili a opere di Rembrandt, tenui figure quasi acquerellate e sfumate che si contrappongono alla pesantezza del ferro, del porfido, del legno di un maestoso ciliegio che ancora vive a guisa di totem.

Si palesano inoltre collegamenti verso il cielo che partono dalla terra, simboliche torri di babele che nascondono altri linguaggi, altre visioni, questi monoliti uniscono il mondo terreno con quello della spiritualità in ricercata armonia di equilibri dove lo sguardo rimane a contatto con l'anima e la voglia di toccare l'opera rimane perché si cerca il divenire in una parte di essa.

Se Francesco Rampin come pittore "vede", come scultore invece "sente" i colori e la materia poiché con le sue composizioni rende la forma con i materiali arrivando a sperimentare l'incidenza della luce e palesando nella tridimensionalità azzardi cromatici nella superficie.

La scultura contemporanea dell'artista completa così uno spazio bidimensionale stravolgendo stili e mescolanze e conducendo un nuovo modo di comporre abolendo i confini delle arti, togliendo la percezione univoca, il risultato è quello di rimanere senza pelle, senza contatto, senza protezione per una libertà delle emozioni, consapevolezza dello strato vivo che anima e colpisce un mondo fatto di strane cose, fatto e vissuto d'arte.

 

 

Padova 07.12.2017

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